Sono associati all’assunzione di alcuni chemioterapici ma oggi, grazie alla disponibilità di antiemetici molto efficaci, possono essere prevenuti o controllati con facilità. La nausea può insorgere in tempi diversi a seconda del tipo di chemioterapia. Generalmente inizia dopo qualche ora dalla somministrazione e, in casi sporadici, può protrarsi per diverso tempo. In caso di chemioterapici che provocano frequentemente nausea, gli antiemetici sono di solito somministrati (endovena o in compresse) contestualmente alla seduta terapeutica. Se, invece, la nausea non è frequente, sono forniti antiemetici in compresse da prendere soltanto in caso di necessità. Tra i farmaci usati per ridurre o prevenire la nausea e il vomito figurano anche alcuni derivati del cortisone.
La caduta dei capelli, dei peli, di ciglia e sopracciglia è considerata un segno caratteristico della chemioterapia. Per questo è una delle conseguenze più conosciute e temute dai pazienti: non solo incide in maniera significativa sulla propria immagine, ma rende anche evidente il proprio stato di malattia. In realtà, non tutti i farmaci provocano questo effetto indesiderato, né tutti lo fanno con la stessa intensità. Mentre alcuni farmaci provocano sempre la caduta completa dei capelli, alcuni rendono solo i capelli più fini e radi, altri non agiscono a questo livello. In ogni caso i capelli ricrescono alla conclusione dei cicli di chemioterapia. In genere la capigliatura recupera un aspetto normale entro quattro-sei mesi dal termine delle cure.
In alcuni casi è possibile cercare di prevenire la caduta dei capelli indossando durante le sedute una particolare cuffia ghiacciata: riducendo l’apporto di sangue al cuoio capelluto durante la somministrazione della chemioterapia, si cerca di diminuire anche la quantità di farmaco che raggiunge i bulbi piliferi. Il metodo comunque non è utilizzabile in tutti i casi, per cui conviene discuterne in anticipo con il medico.
Il senso di sfinimento sia fisico che psichico, anche senza la comparsa di altri disturbi, è senz’altro l’effetto collaterale più frequente della chemioterapia. In molti casi ha inizio durante la somministrazione dei farmaci oppure subito dopo: può essere particolarmente intenso nelle 36-48 ore che seguono la seduta di chemioterapia. Di solito la stanchezza scompare gradualmente alla conclusione del trattamento, ma alcuni pazienti continuano a sentirsi stanchi anche a distanza di molti mesi. La stanchezza cronica (fatigue, termine inglese che significa astenia, stanchezza) rappresenta un insieme di sintomi fisici e psichici tra i più debilitanti e meno trattati tra i malati oncologici, perché spesso non ne parlano con i medici come invece fanno per altri disturbi. Le persone che provano fatigue non hanno energia e trovano difficoltoso compiere quelle semplici attività quotidiane che di norma svolgono senza problemi.
Molte sono le cause che provocano la fatigue nei malati di cancro. Alla base possono esserci anemia, disordini del metabolismo e infezioni, cui si sovrappongono fattori psicologici quali le inevitabili paure che la diagnosi di cancro porta con sé. Possono provocare la fatigue anche i trattamenti oncologici, dolori di varia natura e problemi alimentari (difficoltà a nutrirsi, diarrea, vomito, perdita di peso, anoressia), disturbi del sonno. Gli interventi farmacologici possono in qualche caso giovare (anche se purtroppo non esiste una terapia farmacologica efficace nel prevenire o nell’eliminare la fatigue), ma i migliori risultati si ottengono dalla combinazione delle terapie con un adeguato sostegno psicologico.
Cambiamenti del gusto e dell’olfatto
Alcuni farmaci utilizzati per la chemioterapia e, in certi casi, anche per la radioterapia possono causare cambiamenti nel modo in cui il paziente sente i sapori e gli odori. Per questo motivo a volte accade che i cibi sembrino salati o amari o che si senta nei cibi un sapore “metallico”. Può anche succedere che molti alimenti diventino insipidi o “cattivi”. La stessa cosa accade a volte con gli odori: i profumi o i deodoranti più intensi possono dare fastidio. I cambiamenti del gusto e dell’olfatto non sono comunque permanenti e sono destinati a scomparire alla fine delle cure.
Alcuni farmaci chemioterapici possono risultare tossici per le cellule del sangue, il cui numero diminuisce progressivamente. Le molecole antitumorali possono quindi colpire sia i globuli rossi (anemia) che quelli bianchi (leucopenia).
- L’anemia è dovuta all’abbassamento del numero di globuli rossi e quindi del livello di emoglobina nel sangue: si manifesta con sintomi come stanchezza, sonnolenza, talvolta anche dispnea (affanno), dovuta alla minore quantità di ossigeno disponibile per le funzioni dell’organismo. Se il livello di emoglobina è troppo basso, si può intervenire con trasfusioni di sangue, per permettere un immediato recupero di energie e la scomparsa della stanchezza e della dispnea. In alcuni casi, a discrezione del medico, un aumento dei globuli rossi può essere ottenuto anche attraverso la stimolazione del midollo osseo con la somministrazione di eritropoietina (che si inietta per via sottocutanea).
- I farmaci antiblastici determinano talvolta la riduzione del numero di globuli bianchi e, soprattutto, la diminuzione di un loro sottogruppo, i granulociti neutrofili, cellule specializzate nel combattere le infezioni batteriche. Abbassano così le capacità di difesa dell’organismo contro gli attacchi di molti agenti microbici. La riduzione dei globuli bianchi è tollerata dalla maggior parte dei pazienti e in genere limitata a un breve periodo, nell’intervallo tra un ciclo e l’altro di chemioterapia. I medici monitorano costantemente il livello delle difese immunitarie decidendo, in alcuni casi, l’avvio di una terapia a base di fattori di crescita, farmaci biologici che stimolano la produzione dei globuli bianchi nel midollo osseo o di antibiotici per prevenire eventuali infezioni e complicanze.