Notiziario AIOM

Prevenzione in punta di chip

La scoperta di Ibm in grado di individuare i tumori prima dei sintomi

Da Il Sole24 ORE Sanità del 6-09-2016

Ha fatto parlare la stampa di tutto il mondo la nuova scoperta del colosso americano Ibm. Sono infatti stati presentati i risultati preliminari di una nanotecnologia in uso da qualche anno, “lab-on-a-chip”, usata in questo caso per scoprire i tumori, ma non solo, prima che questi si manifestino. L’obiettivo è di poterla testare sul tumore della prostata, il più comune nella popolazione maschile degli Stati Uniti, grazie alla collaborazione con la Icahn School of medicine del Mount Sinai di New York.

Mi occupo di ricerca oncologica da molti anni e, questa notizia, nasconde qualcosa di più.

La scelta della rivista scientifica, com’è giusto che sia, è stata accuratamente pianificata. Si tratta della prestigiosissima: Nature Nanotechnology, una rivista che pubblica articoli in tutti i settori della nanoscienza e della nanotecnologia. Con un Isi impact factor del 2015 di 35.267, si pone al primo posto tra le riviste del settore. La sua particolarità, è la possibilità di pubblicare anche un formato ridotto come la “letter”: si tratta, come in questo caso, di un importante studio, ma meno consistente di un normale articolo.

Ibm si accredita nel mondo scientifico ed entra a pieno titolo nel mercato delle nanotecnologie, forte di un riconoscimento internazionale: massima resa con minimo sforzo.

Già ma di cosa stiamo parlando? Con il termine lab-on-a-chip, definiamo un componente elettronico su cui è presente un circuito, il chip appunto, integrato a un dispositivo microfluidico con micro-canali e altri dispositivi miniaturizzati. Il chip racchiude le diverse funzioni di un comune laboratorio, ma con dimensioni di pochi millimetri quadrati, ed è in grado di analizzare fluidi mille volte più piccoli di una goccia di sangue. In realtà parliamo di una tecnologia “antica”, sviluppata nel 1975 alla Stanford University; è solo alla metà del 1990, che i lab-on-a-chip troveranno applicazione industriale: elettroforesi capillare e Dna microarray.

La novità, da parte di Ibm, sta nell’aver dimostrato la possibilità di separare bioparticelle con diametro fino a 20 nanometri. Com’è noto, le informazioni genetiche sono nascoste all’interno del nucleo, mentre l’attività di ogni cellula, avviene all’esterno. Quindi lavorando a queste dimensioni si possono riconoscere i custodi di tali informazioni: Rna e a volte Dna, o più in generale gli esosomi, ovvero pacchetti di proteine, che sono considerati i veri biomarcatori in grado, se studiati, di anticipare la presenza di qualsiasi cellula tumorale. Ibm pubblica un manifesto d’intenti, un programma d’azione o forse una dichiarazione di guerra, verso tutte le multinazionali interessate a questo settore.

Le conclusioni degli autori pongono le basi per lo sfruttamento di un nuovo filone della ricerca oncologica, dai contorni non ancora ben definiti, fino a ora appannaggio di università e start-up.

Per Ibm non è un buon momento: è il diciassettesimo trimestre consecutivo di calo del fatturato, anche se il giro d’affari è stato migliore delle attese; dall’inizio dell’era Ginni Rometty come Ceo, le quotazioni sono scese; finanziariamente paralizzata e priva di risorse per competere efficacemente, gioca al rilancio. Che Ibm abbia sempre avuto un particolare interesse al settore sanitario, lo dimostra il recente investimento a Milano, di Watson Health: una “business unit” globale, nata nel 2015.

Ma facciamo un passo indietro, al congresso della società americana di oncologia clinica, tenutosi a giugno di quest’anno, a Chicago, l’associazione italiana di oncologia medica, ha sottolineato che, nonostante i dati favorevoli in termini di sopravvivenza, il problema dell’appropriatezza di esami e terapie, resta insoluto. Nel 2014 la spesa mondiale per i farmaci antitumorali ammontava a circa 100 miliardi di dollari, il 33% in più rispetto alla fine degli anni Novanta, e il 15% degli esami impiegati a scopo diagnostico era inappropriato.

Nel 2012, solo in Italia, sono stati eseguiti oltre 13 milioni di marcatori tumorali a fronte di 2 milioni e 300mila italiani con una diagnosi oncologica, ben sapendo che i marcatori riconoscono solo due indicazioni: valutazione della risposta al trattamento e diagnosi di recidiva di malattia. Tenuto conto che l’oncologia costituirà, nel 2017, la prima voce di spesa farmacologica nei Paesi industrializzati, e che la difficoltà del settore farmaceutico per il costo sempre più alto dei brevetti dei nuovi famaci mette a rischio la sua sostenibilità, risulta chiaro che il mercato oncologico si sta spostando verso nuove frontiere.

L’invecchiamento della popolazione e l’incremento dei costi delle nuove terapie richiedono un’assistenza oncologica diversa: più efficiente ed economicamente sostenibile. La prevenzione costituisce oggigiorno l’elemento più importante per rispondere a queste aspettative e la tecnologia lab-on-a-chip potrebbe essere la risposta. Eppure c’era un limite: la maggior parte dei processi di produzione sono in silicio, tecnologia ormai vicina al suo limite fisico.

L’anno scorso arriva la svolta: Ibm che già aveva trovato nei semiconduttori i sostituti del silicio, presenta un processo metallurgico simile alla saldatura microscopica, unendo chimicamente atomi di molibdeno, usato come contatto con gli atomi di carbonio alle estremità dei nanotubi (i semiconduttori), è possibile incrementare le prestazioni dei computer. Passare dal computer al lab-on-a-chip è stato un gioco da ragazzi. Iniziando a produrre lab-on-a-chip, fino a ridurre le strutture di trattamento dei fluidi usando la nanotecnologia, Ibm ha iniziato un’azione a tenaglia per diventarne nel più breve tempo possibile leader di un mercato dalle potenzialità infinite.

L’uso commerciale dei lab-on-a-chip consentirà un notevole risparmio in termini di costi, limitando l’uso di reagenti chimici, riducendo l’impatto ambientale, rendendo le analisi molto veloci e più sensibili. Visto lo scarso ingombro, sarà anche possibile realizzare kit portatili per le analisi sul territorio e garantire una migliore diffusione delle campagne di screening. Non a caso Ibm ha scelto come partner la Icahn School of medicine del Mount Sinai che tramite la Mount Sinai health system controlla tutto il territorio di New York, definendo così lo stretto rapporto che esiste tra oncologia e territorio.

La relazione, sulle nanotecnologie, tenuta da Richard Feynman nel 1959, aveva come titolo “C’è un sacco di spazio là sotto”: vedendo quello che sta succedendo, mai titolo fu più profetico.

Di Alberto Vannelli
presidente Erone Onlus
dirigente medico responsabile Uos
Chirurgia oncologica ospedale Valduce – Como