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Smettere di fumare, la promessa più disattesa del nuovo anno

Guarire dal tabagismo è il meno rispettato tra i classici buoni propositi di inizio anno: chi decide di dire addio alle sigarette ci riesce solo 13 volte su 100. Da una indagine della Royal Society for Pubic Health britannica la classifica degli impegni che riusciamo o meno a mantenere

Da la Repubblica.it del 9-1-2017

“Con l’anno nuovo smetto di fumare”. Tra i buoni propositi tradizionalmente pronunciati tra dicembre e gennaio, dire addio alle sigarette è quello più spesso disatteso. La classica ultima sigaretta di capodanno in realtà è l’ultima soltanto 13 volte su 100. Secondo un’indagine della RSPH, la Royal Society for Public Health britannica, che ha stilato una classifica di 10 buoni propositi di salute rispettati o disattesi a un anno e a un mese dalla loro formulazione, soltanto nel 13 per cento dei casi chi decide di farla finita con la dipendenza da nicotina all’inizio dell’anno (in questo caso del 2016), dodici mesi più tardi ha effettivamente raggiunto l’obiettivo: è cioè un ex fumatore, e 3 volte su 5 chi ricade nel vizio è di nuovo vittima delle bionde già entro il 31 gennaio. Risultato: secondo il ranking inglese l’intenzione di smettere di fumare rappresenta il buon proposito di salute meno mantenuto, l’ultimo, appunto, della top ten delle buone intenzioni.

La classifica dei buoni propositi. Una top ten che vede al primo posto l’impegno di intensificare le relazioni con amici e familiari: a 12 mesi dalla sua formulazione, quel progetto è ancora una realtà in un buon 58 per cento dei casi (a fine gennaio nell’86 per cento). Al secondo, l’impegno di stabilire un rapporto più salutare tra lavoro e vita extra lavorativa (successo dopo un mese: 75 %, dopo un anno: 43%). Ancora sul podio, ma sul terzo gradino, fare più sport (36 % di successi a un anno, 77 % a un mese). Al quarto posto, dedicare più ore al sonno (32 % di successi a un anno, 59 per cento a un mese). Verso metà classifica (quinto posto e sesto posto rispettivamente), troviamo l’impegno a ridurre il consumo di alcol (dopo 12 mesi ci è riuscito il 31 % di chi aveva deciso di farlo, dopo un mese il 61 %) e la volontà di ridurre il tempo dedicato ai social media (solo il 31 % di chi lo aveva formulato ha raggiunto l’obiettivo a un anno di distanza, il 61 per cento a fine gennaio).

Fare sport e non bere alcol. Scorrendo in basso la lista (settimo posto) si colloca dedicarsi all’attività fisica: l’obiettivo è raggiunto dal 23% di chi lo aveva progettato a distanza di un anno, e dal 68 % a distanza di un mese. Il sempre attuale mettersi a dieta (ottavo posto), a un anno risulta rispettato solo dal 23 % del campione, a un mese dal 65. Al penultimo posto troviamo l’impegno di partecipare al dry january, l’usanza britannica che consiste nell’impegno di non assumere alcool per tutto il primo mese dell’anno, al quale ha aderito, con successo, il 68 % degli inglesi tra coloro che avevano deciso di parteciparvi. E infine, al decimo, come dicevamo, smettere di fumare.

Una dipendenza molto complessa. Un fallimento? Secondo Shirley Cramer, Chief Executive di RSPH si tratta piuttosto “un risultato incoraggiante”. “Anche se smettere di fumare può essere difficile – spiega Cramer – la nostra ricerca dimostra che coloro che con il nuovo anno cercano di uscire dall’abitudine del fumo hanno più del triplo delle probabilità di successo rispetto alla media nazionale”, che in Inghilterra si attesta infatti intorno al 3-4 %. Ma anche a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, rimane il dato assoluto: 13 successi su cento tentativi di abbandonare un’abitudine che per l’Organizzazione mondiale della sanità è la prima causa di morte evitabile, e di cui sono vittime spesso pentite un miliardo di persone nel mondo e poco meno di 11 milioni in Italia. “Il fatto è che smettere di fumare è molto difficile, solo il 2-3 % dei fumatori secondo le nostre statistiche nazionali riesce a farlo senza sostegno, buttando il pacchetto”, commenta e conferma i dati britannici Stefania Pasquariello, psicologa del Centro Antifumo del Policlinico Umberto I di Roma che annualmente segue circa 200 fumatori che vorrebbero smettere. “Il tabagismo è una tossicodipendenza complessa: bastano 8-10 giorni per disintossicarsi fisicamente dalla nicotina, ma la disintossicazione fisica rappresenta soltanto una parte del problema”, spiega l’esperta.

Sigaretta, una stampella psicologica. “La sigaretta ha molti significati, che vanno oltre quelli neurobiologici. C’è il significato emozionale: la sigaretta è una stampella psicologica che aiuta gestire emozioni, contenendo quelle negative, come la rabbia o il nervosismo: vorrei sfogarmi dire basta all’arroganza del capo, ma non lo posso fare, mi fumo una sigaretta – dice Pasquariello – . Esaltando quelle positive: sono stato bravo ora mi merito una sigaretta. È anche un collante sociale, la sigaretta: tra amiche, tra un caffè una chiacchiera una sigaretta ci sta. È un riempitivo di solitudine, un’amica che sta lì, anche quando non c’è nessun altro. E poi c’è la questione della gestualità del fumo: chi consuma un pacchetto di sigarette quotidianamente, compie 400 gesti di fumo al giorno, per anni: tanti, difficili da abbandonare”.

La volontà. E’ importante, secondo gli esperti, elaborare in modo profondo la volontà di abbandonare ‘le bionde’. “Se manca l’elaborazione profonda del desiderio di cambiamento si ricomincia a fumare cosa che – spiega Pasquariello – accade generalmente dopo un mese, un mese e mezzo dalla decisione di smettere. Magari meno, e spesso si pensa mi va bene così: ho ridotto il consumo, è un buon risultato. In realtà si finisce per riprendere con lo stesso ritmo di sempre. Il numero di sigarette che fumiamo è geneticamente fissato: ognuno di noi ha una sua misura della dipendenza, alla quale si finisce per ritornare. Ma raggiungere l’obiettivo significa non fumare più”.

Serve un anno. Quanto tempo ci vuole per raggiungerlo, questo obiettivo e quali sono le motivazioni che spingono a voler guarire dal tabagismo? “I risultati importanti si valutano a un anno, esattamente come per l’elaborazione di un lutto. In questo caso il lutto della sigaretta. Le motivazioni che spingono a smettere sono legate all’età: i giovani in genere percepiscono poco il rischio salute, al contrario dei più anziani. Tuttavia l’aver subito l’avventura di una malattia legata al fumo, la paura quindi, è comunque una motivazione ambivalente: nell’immediato funziona molto bene, col tempo però la sua forza dissuasiva si riduce, spesso si ricade nel vizio”.

Farsi aiutare per raggiungere l’obiettivo. I centri antifumo in Italia sono circa 370, molti dei quali associano terapia farmacologica e sostegno psicologico. “La percentuale di successo dei centri antifumo – conclude Pasquariello – si attesta in media intorno al 30 %: 10 volte quella a cui oggi si può aspirare provando da soli a smettere. Alcune strutture, come la nostra, raggiungono anche il 50 % dei successi”.
Un buon risultato. Che tuttavia significa che uno su due non ce la fa. “Smettere di fumare è oggettivamente impegnativo, e si capisce perché guarire dal tabagismo è l’ultimo tra i buoni propositi che si riescono a realizzare. È oggettivo anche, però, che rivolgendosi a strutture specializzate le chance aumentano sensibilmente”.

di Tina Simoniello