Notiziario AIOM

La revisione di 34 studi pubblicata sul BMJ. TUMORI: OGNI MESE DI RITARDO NELLE CURE PUÒ AUMENTARE LA MORTALITÀ

Massimo Di Maio, Segretario AIOM:
“Le stime si riferiscono ai pazienti candidati a trattamenti con intento guaritivo per 7 tipi di tumore. I numeri del lavoro di BMJ stimano l’incremento relativo (non assoluto) del rischio di morte. I tempi di latenza nella presa in carico aggiungono una voce ‘indiretta’ al terribile conto dei danni provocati dal Covid”

I pazienti a cui viene rimandato il trattamento del cancro, perfino di un mese, possono presentare in molti casi un incremento relativo del rischio di morte, dal 6% al 13% in più rispetto al rischio di chi riceve il trattamento nei tempi ottimali, rischio che continua ad aumentare quanto più a lungo si ritardano le cure. È quanto evidenzia una ricerca pubblicata online sul The BMJ.

Ricercatori canadesi e inglesi hanno evidenziato un impatto significativo sulla mortalità nel caso in cui venga posticipato il trattamento – che si tratti di chirurgia, terapia sistemica (come chemioterapia) o radioterapia – per 7 tipi di tumori. A livello globale, i sistemi sanitari, a causa della pandemia, devono affrontare i ritardi nei trattamenti, che, come noto, possono determinare conseguenze negative sui risultati delle cure. Ma l’esatto impatto dei ritardi (dalla diagnosi di cancro all’inizio del trattamento) sulla mortalità non è stato finora analizzato in modo approfondito. La necessità di capire meglio le conseguenze di questi ritardi è particolarmente importante durante la pandemia da COVID-19, perché molti Paesi hanno dovuto rinviare la chirurgia oncologica elettiva e la radioterapia, così come hanno ridotto l’utilizzo delle terapie sistemiche, mentre i sistemi sanitari hanno indirizzato le risorse alla lotta contro la pandemia.

Un’équipe di ricercatori britannici e canadesi, guidata da Timothy Hanna della Queen’s University di Kingston in Canada, ha effettuato una revisione di 34 studi (pubblicati tra gennaio 2000 e aprile 2020) su 17 indicazioni terapeutiche per 7 tumori. I dati analizzati riguardano complessivamente circa un milione e duecentomila pazienti. Questi studi contenevano dati sugli interventi chirurgici, terapie sistemiche (come la chemioterapia) o radioterapia per sette forme di tumori – vescica, seno, colon, retto, polmone, cervice, testa-collo – che insieme rappresentano il 44% di tutti i tumori a livello globale.

I ritardi sono stati misurati dalla diagnosi al primo trattamento, o dal completamento di un trattamento all’inizio del successivo. L’associazione tra ritardo e aumento della mortalità era significativa per 13 delle 17 indicazioni. L’analisi dei risultati ha mostrato che, in tutti e tre gli approcci terapeutici, il ritardo di quattro settimane era associato ad un aumento del rischio di morte. Per quanto riguarda la chirurgia, l’aumento relativo del rischio di morte era del 6-8% (Hazard Ratio 1.06 – 1.08) ogni 4 settimane di ritardo. Ma per alcune indicazioni l’impatto del ritardo di chemioterapia e radioterapia è stato ancora più marcato: il rischio di decesso è aumentato del 9% (Hazard Ratio 1.09) quando ad essere procrastinata è stata la radioterapia dei tumori della testa e del collo. E del 13% (Hazard Ratio 1.13) quando è stata posticipata la chemioterapia adiuvante nei pazienti con cancro del colon-retto.

I ricercatori hanno calcolato anche l’effetto dei ritardi di 8 e 12 settimane. Posticipare di 8 settimane la chirurgia del tumore della mammella aumenterebbe il rischio relativo di morte del 17%, posticiparla di 12 settimane del 26%. Provando a quantificare questi numeri in termini assoluti, gli autori hanno stimato che il ritardo di 12 settimane dell’intervento chirurgico per tutti i pazienti con tumore del seno per un intero anno (per esempio durante il periodo di emergenza per COVID-19) potrebbe causare 1.400 morti in eccesso nel Regno Unito, 6.100 negli Stati Uniti, 700 in Canada, e 500 in Australia, assumendo che la chirurgia fosse il primo trattamento nell’83% dei casi e la mortalità senza ritardi del 12%.

Il commento di Massimo Di Maio, Segretario AIOM

Il tema dell’impatto negativo dell’eventuale ritardo nelle terapie antitumorali, in particolare per i pazienti candidati a un trattamento (chirurgico, radioterapico, farmacologico) ad intento guaritivo, è stato oggetto di numerosi studi pubblicati in letteratura.

La revisione sistematica della letteratura, con metanalisi degli studi eleggibili, pubblicata qualche giorno fa, con grande visibilità mediatica, sulle prestigiose pagine del BMJ, è stata condotta con l’obiettivo di quantificare l’associazione tra eventuali ritardi nelle terapie antitumorali e la mortalità, assumendo come “unità di misura” del ritardo un intervallo di 4 settimane.

L’analisi si è concentrata sui trattamenti somministrati con l’obiettivo della guarigione (ad esempio la chirurgia per il trattamento radicale di una neoplasia localizzata, la chemioterapia o la radioterapia somministrata con intento neoadiuvante, la chemioterapia adiuvante), per 7 tipi di neoplasia (vescica, mammella, colon, retto, polmone, cervice uterina e testa-collo). Si tratta, naturalmente, di studi osservazionali, che hanno “fotografato” le differenze di mortalità tra gruppi di pazienti divisi sulla base del tempo trascorso prima del trattamento, e questo può implicare dei potenziali bias, in quanto a volte i motivi del ritardo sono da ricercare non in problemi organizzativi, ma in cause cliniche, legate alle condizioni del paziente (ad esempio l’età più avanzata associata a maggiore fragilità e a tempi più lunghi di recupero dopo una chirurgia, oppure la presenza di patologie concomitanti, oppure la necessità di eseguire esami strumentali di approfondimento per meglio definire la strategia terapeutica in casi “problematici”). Queste situazioni di per sé possono essere associate a una prognosi peggiore rispetto a chi non ha motivi per ritardare l’esecuzione del trattamento. È molto importante, quindi, che l’analisi di questi studi tenga debitamente in conto la correzione per questi fattori confondenti, naturalmente possibile solo se gli studi li hanno raccolti e adeguatamente descritti. Proprio allo scopo di produrre risultati più affidabili, gli autori della metanalisi hanno incluso nell’analisi principale solo gli studi caratterizzati da elevata qualità, vale a dire quelli che avevano esplicitamente considerato nelle analisi i potenziali fattori confondenti.

I risultati sono molto interessanti, perché, per molti tipi di trattamento in numerosi tipi di tumore, i dati documentano un impatto significativamente negativo del ritardo in termini di aumento di mortalità (e quindi riduzione delle chance di guarigione). Nella maggior parte dei setting in cui l’evidenza a disposizione era sufficiente per produrre risultati affidabili, un ritardo nella chirurgia, o nella radioterapia, o nella chemioterapia si traduce in un aumento del rischio di morte di vari punti percentuali.

Quattro settimane di ritardo rispetto alle tempistiche considerate ottimali possono sembrare poche. Spesso, nel discutere le conseguenze di eventuali ritardi legati a liste di attesa o a problemi logistici, corriamo il rischio di minimizzare le implicazioni prognostiche, eppure i risultati della metanalisi suggeriscono che anche un ritardo di 4 settimane può tradursi in un aumento statisticamente significativo della mortalità, e ancor peggiori sono le conseguenze di ritardi più lunghi.

Va precisato, comunque, che l’analisi si concentra su setting di trattamento potenzialmente guaritivo, e non sui trattamenti dei pazienti con malattia avanzata, nei quali l’obiettivo della terapia non è l’eradicazione della malattia ma il suo controllo. Naturalmente, anche questi pazienti meritano un trattamento tempestivo, ma le stime contenute nel lavoro si riferiscono ai pazienti candidati a trattamenti con intento guaritivo per i 7 tipi di tumore presi in considerazione.

È anche opportuno precisare (per inquadrare meglio il risultato) che le percentuali discusse nell’articolo di BMJ si riferiscono all’incremento relativo, e non assoluto, del rischio di morte: ad esempio, quando si parla di un incremento dell’8% della mortalità per il ritardo nella chirurgia della mammella, non vuol dire che muoiono 8 donne su 100 in più tra tutte quelle operate, ma che il rischio è l’8% più alto rispetto a quello delle donne operate nei tempi giusti. Ad esempio, come gli autori esemplificano nel visual abstract che accompagna l’articolo, a fronte di una mortalità di 120 donne su 1.000 operate “in tempo” per il tumore della mammella, il ritardo di 4 settimane rischia di farne morire l’8% in più, quindi ulteriori 10 su 1.000.

L’argomento delle conseguenze negative dei ritardi nei trattamenti, importante già prima dell’emergenza legata alla pandemia di Covid-19, lo è ancor di più in questo momento. Se la riorganizzazione degli ospedali, sotto pressione per la marea di pazienti Covid da gestire, comporta ritardi nella presa in carico e nei trattamenti per i pazienti affetti da altre patologie, tra cui i pazienti affetti da tumore, questo aggiunge una voce “indiretta” al terribile conto dei danni provocati dal coronavirus.

In questo momento si stanno facendo grandi sforzi per continuare a garantire l’assistenza ai pazienti oncologici, ma se gli operatori si ammalano e sono costretti a rimanere a casa, se una parte dei reparti e dei servizi viene chiusa per far posto ai pazienti affetti da Covid, se una parte delle sale operatorie deve cancellare o ricalendarizzare la programmazione, inevitabilmente si creano conseguenze anche per i pazienti oncologici. Tutto questo non crea solo ansia, ma come documentato dal lavoro di BMJ rischia di produrre anche conseguenze negative sulla prognosi.

È uno dei mille motivi per impegnarsi, tutti, ad adottare misure che riducano la pressione sulle strutture sanitarie in questo drammatico momento.