La attuali linee guida raccomandano l’utilizzo di un trattamento adiuvante con imatinib (400 mg/die) per 3 anni per i pazienti affetti da GIST ad alto rischio di recidiva e portatori di mutazioni sensibili ad imatinib.
Tuttavia, nonostante il trattamento adiuvante, una significativa quota di pazienti recidiva con un rischio maggiore nei primi anni successivi al termine della terapia adiuvante, indipendentemente dalla durata della stessa. Pertanto, il ruolo e la durata del trattamento adiuvante hanno mantenuto grande interesse scientifico negli ultimi anni.
IMADGIST è uno studio multicentrico randomizzato di fase III, in aperto, che ha valutato l’estensione del trattamento adiuvante con imatinib fino a 6 anni complessivi in pazienti affetti da GIST ad alto rischio di recidiva (35% secondo la classificazione di rischio NCCN).
I pazienti che avevano completamento i 3 anni di terapia adiuvante secondo linee guida e che risultavano eleggibili per lo studio sono stati randomizzati a proseguire la terapia con imatinib per ulteriori 3 anni o ad interrompere il trattamento come da pratica clinica. Sono stati esclusi dall’arruolamento pazienti portatori di mutazioni associate a resistenza nota ad imatinib (es. PDGFRa D842V, BRAF, NF1, mutazioni inattivanti dei geni SDH).
L’endpoint primario dello studio è stato la DFS (disease free survival) e il disegno statistico prevedeva di dimostrare un incremento del tasso di DFS a 3 anni del 12% nel braccio sperimentale rispetto al controllo. Gli endpoint secondari includevano: OS (overall survival), tempo all’insorgenza di resistenza ad imatinib, tasso di risposta alla reintroduzione di imatinib in caso di recidiva, sicurezza e qualità di vita.
Da dicembre 2014 ad aprile 2023 sono stati arruolati 136 pazienti, in prevalenza con tumore primitivo gastrico (44%) e del piccolo intestino (47%). In relazione al rischio di recidiva, il 38% e il 52% dei pazienti avevano rispettivamente un rischio di recidiva del 35-50% e >70% secondo la classificazione NCCN. È rilevante sottolineare che il 15.4% e 12.7% dei pazienti, rispettivamente nel braccio sperimentale e nel braccio di controllo, avevano avuto rottura della capsula tumorale.
Ad una mediana di durata del follow-up di 55 mesi, il trattamento adiuvante per 6 anni ha dimostrato di ridurre il rischio di recidiva del 60% rispetto ai 3 anni HR: 0.40 (0.19-0.80), p=0.008 con una DFS a 3 anni del 72% e 42% rispettivamente nel braccio sperimentale (6 anni) e nel braccio di controllo (3 anni).
L’analisi della DFS per sottogruppi prepianificati ha confermato il beneficio dal prolungamento del trattamento adiuvante nei pazienti con rischio di recidiva 35-70% HR =0.08 (0.01-0.61), p=0.0016, mentre nel sottogruppo con rischio di recidiva >70% la differenza in DFS non è risultata significativa HR 0.68 (0.34-1.34, p=0.27.
Un’analisi post-hoc ha documentato che, escludendo i pazienti con rottura della capsula dal sottogruppo di pazienti con rischio di recidiva >70%, l’HR della DFS era 0.45 in favore del braccio sperimentale con una DFS a 36 mesi di 84% (vs 40%). Al contrario, nei pazienti con rottura della capsula non si osservava alcuna differenza significativa in DFS tra 6 e 3 anni di terapia adiuvante.
Questi dati, tuttavia, dovrebbero essere interpretati con cautela anche alla luce del limitato numero di pazienti con questa caratteristica, nonché dell’assenza di una revisione centralizzata della rottura della capsula.
Non è stata, invece, osservata una differenza significativa tra i due bracci di studio negli endpoint secondari, quali tempo allo sviluppo di resistenza ad imatinib, sopravvivenza globale, tossicità e qualità di vita. In particolare, riguardo la resistenza secondaria, l’HR per PFS (progression free survival) dopo reintroduzione di imatinib alla recidiva è stato 0.70 (95% CI 0.37-0.88) a 36 mesi, suggerendo che le resistenze secondarie non appaiono essere clinicamente legate alla durata maggiore del trattamento adiuvante.
Il profilo di eventi avversi è risultato simile tra i due bracci di trattamento, eccetto che per una maggior incidenza di spasmi muscolari, confermando la fattibilità di un trattamento adiuvante più duraturo. Manca, tuttavia, una più robusta e dettagliata analisi della qualità di vita che possa pesare i benefici di una terapia prolungata rispetto alla potenziale comparsa di tossicità a lungo termine, così come dell’impatto sulla qualità di vita di tossicità di basso grado prolungate oltre i 3 anni.
In relazione al profilo molecolare, nessun beneficio dal prolungamento del trattamento adiuvante è stato osservato nel sottogruppo di pazienti portatori di mutazione dell’esone 9 del gene KIT, dato in linea con quanto osservato nello studio SSG XVIII.
Nonostante i risultati rilevanti, lo studio IMADGIST presenta diversi limiti.
La mediana di follow-up di 55 mesi potrebbe essere insufficiente per valutare l’impatto sulla sopravvivenza globale in considerazione dell’andamento per lo più lentamente evolutivo dei GIST. Tale considerazione vale anche per la valutazione dell’insorgenza di resistenze ad imatinib, sebbene l’attuale durata del follow-up potrebbe essere adeguata per concludere che il prolungamento dell’esposizione ad imatinib nel setting adiuvante fino a 6 anni non sia associata a selezione di cloni resistenti.
Inoltre, la stratificazione dei pazienti basata sul rischio di recidiva (35-70% vs >70%) solleva alcuni dubbi sulla generalizzabilità dei risultati. In particolare, il limitato beneficio da 6 anni di trattamento nel sottogruppo con rottura della capsula, suggerisce la possibilità di un approccio più personalizzato con la possibilità di estendere il trattamento oltre i 6 anni in questo specifico sottogruppo.
Sfortunatamente, lo studio non ha previsto la raccolta di materiale biologico (ctDNA) e, di conseguenza, manca un’analisi adeguata dei biomarcatori molecolari per valutare l’impatto di fattori genetici sullo sviluppo di resistenze ad imatinib e sulla recidiva di malattia. È auspicabile che studi futuri possano integrare valutazioni molecolari su ctDNA anche nel setting adiuvante, alla luce dei risultati rilevanti già disponibili nella malattia in stadio avanzato.
In conclusione, lo studio IMADGIST suggerisce l’estensione del trattamento adiuvante fino a 6 anni nei pazienti ad alto rischio di recidiva in virtù del beneficio in DFS. Tuttavia, in considerazione delle limitazioni legate all’assenza di beneficio in OS, QoL e di integrazione della valutazione dei biomarcatori, meritevoli di ulteriori ricerche nel setting adiuvante, ad oggi, in pratica clinica, è raccomandabile un approccio più personalizzato nella valutazione dell’estensione della durata della terapia adiuvante, piuttosto che una strategia universale per tutti i pazienti.
In conclusione, alla luce dei risultati dello studio IMADGIST, la prosecuzione del trattamento adiuvante con imatinib per ulteriori 3 anni può essere presa in considerazione in pazienti con GIST resecato ad alto rischio di recidiva, portatori di mutazioni sensibili ad imatinib, anche in considerazione del profilo di tossicità accettabile.
Un periodo di follow-up più lungo sarà necessario per valutare se il beneficio ottenuto in DFS potrà tramutarsi in un vantaggio in OS e per valutare l’impatto sull’emergenza di resistenza ad imatinib.
Tuttavia, in questo sottogruppo è stato osservato un rapido incremento del tasso di recidiva dopo la sospensione di imatinib nel braccio sperimentale con una sovrapposizione delle curve di DFS dopo 60 mesi dalla randomizzazione, suggerendo l’utilità di proseguire il trattamento adiuvante addirittura oltre i 6 anni.
J-Y Blay, C Schiffler, O Bouché, M Brahmi, F Duffaud, M Toulmonde, B Landi, W Lahlou, D Pannier, E Bompas, F Bertucci, L Chaigneau, O Collard, M Pracht, C Henon, I Ray-Coquard, K Armoun, S Salas, M Spalato-Ceruso, A Adenis, B Verret, N Penel, C Moreau-Bachelard, A Italiano, A Dufresne, S Metzger, S Chabaud, D Perol, A Le Cesne
Annals of Oncology, 2024 Sep.
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